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La Via del Pane sull’Appennino ai confini tra l’Emilia e la Toscana: la sua storia e il tipico Pane Montanaro


L’appennino bolognese è una parte del più ampio appennino   tosco emiliano ed è proprio qui che si estende La Via del Pane all’interno della Strada dei Vini e dei sapori un percorso enogastronomico e culturale che dal confine sud delle antiche mura della città di Bologna arriva fino ai confini con la Toscana attraverso la via della Futa.
Un viaggio che si estende tra campi di grano, boschi di castagne e di querce e pascoli incontaminati dove ancora si respira aria leggera e pulita e la natura circostante è ancora in alcuni punti inviolata e dove si snodano sentieri per appassionati di trekking .
Sono paesi dove la vita è stata dura da sempre, soprattutto  per la posizione geografica ed il clima nevoso e freddissimo in inverno e  dove gli abitanti del luogo hanno saputo valoriz
zare al massimo le terre attraverso coltivazioni di cereali e marroni.
Ma non sono i soli alimenti per i quali questa zona è attualmente rinomata:  i pascoli e i foraggi per mucche e pecore hanno contribuito a far nascere una fiorente  attività di produzione di ottimi formaggi (ad esempio l’Azienda Lama grande che produce formaggi di mucca biologici a Gabbiano di Monzuno o l’Azienda Agricola Cottu che alleva ovini e produce un ottimo pecorino)  e di eccellenti carni come la rinomata Macelleria Zivieri che propone carni di razza bovina piemontese e suine di razza cinta senese  e mora romagnola-
Il tutto è attorniato  da borghi storici, mulini a pietra e  forni a legna e dove ancora vive la tradizione del buon pane quello “Montanaro”  prodotto in particolare nei comuni di Monzuno, Loiano e Monghidoro.

Il Pane Montanaro viene impastato con farine di farro o di grano tenero  molite a pietra  e si presenta con una forma leggermente  allungata e con una crosta croccante . L’alveolatura è fine e non particolarmente accentuata e la mollica di un giallo pallido. Questo pane viene prodotto da sempre con la “madre” che viene gelosamente conservata per essere poi rinnovata almeno una volta alla settimana. Nella tradizione questo pane veniva preparato con acqua di sorgente e cotto nel forno a legna. .
In questo  territorio che va dalla Sorgente del fiume Savena (il maggior affluente dell’Idice) nel territorio di Firenzuola poco a nord del passo della Futa sorgevano ben 36 mulini ad acqua  che si stendevano fino  ad arrivare a Bologna al famosissimo Molino Parisio la cui annessa ciminiera, è ancora visibile attraversando via Toscana a Bologna; la ciminiera purtroppo è stata   parzialmente abbattuta a seguito dei danni riportati durante il sisma del 2012.
Tra i mulini più famosi ricordiamo il Mazzone di Piamaggio (ancora funzionante e che è ancora possibile visitare) e i Mulini della  Valle, di Mengoni, di Donino, Il mulino del Pero e quello di Scascoli .
I mulini si trovavano spesso incassati in valli strette e impervie e lungo i torrenti laterali del Savena e dell’Idice e grazie sia ad alcune sorgenti perenni sia ad un sistema di raccolta delle acque detta “botte” potevano essere azionati anche nei periodi più aridi; si macinava grano, orzo,mais, ghiande e castagne ed erano una sorta di ritrovo per i locali , un po’ come il nostro bar.
Il Forno CALZOLARI
Ma quando si parla di pane in Appennino non si può non parlare del forno Calzolari di  Monghidoro.
Matteo Calzolari, figlio del fondatore “Francone” ha avuto molto successo anche fuori dal territorio di Monghidoro fino ad arrivare a Bologna. Ora è presente con due   punti vendita e al Mercato della Terra di Bologna (nello spiazzo davanti al Cinema Lumiere per i Bolognesi).
Per Matteo il pane si impasta la notte; il valore aggiunto nel pane che produce è legato all’uso di farine biologiche con valori nutrizionali importanti  e all’utilizzo del suo lievito madre :“Gino”il cui nome è nato quasi per scherzo in laboratorio ascoltando una canzone di Zucchero .
Matteo è stato tra i primi, quindici anni or sono, a credere in un progetto di Filiera corta che coinvolgesse gli agricoltori della zona per ritornare a seminare  grani antichi da utilizzare nel suo laboratorio per il pane, e non solo.
La sperimentazione- mi racconta Matteo- e iniziata con un muscuglio di grani antichi composto da Gentilrosso, Mentana e San Pastore insieme ad altre piccole varietà , ma dopo sei raccolti il “miscuglio” ha iniziato ad indebolirsi ed è così ripartita la sperimentazione con particelle diverse. Per  qualche tempo si è continuato a seminare Gentilrosso , fino all’incontro di Matteo con Luca Minarelli, un agricoltore della zona, con il quale attualmente sta selezionando un “miscuglio” composto dai grani Fiorello e Virgilio battezzato con il nome “Autonomia” .
Attualmente 10 degli ettari seminati  con grani antichi che rientrano nel progetto di Matteo sono al secondo anno di conversione e dal prossimo avranno anche loro la certificazione Biologica.
Nella nostra passeggiata nei campi di grano ancora verdi, Matteo mi racconta che per seminare grani antichi in campo è necessaria una preparazione diversa del terreno; il nutrimento da dare al terreno è necessario che arrivi quando  la spigatura sia nella fase di botticella.
Attraversando le strade  in mezzo a  campi coltivati ci fermiamo  di fronte al cartello che ci indica che siamo nella Valle di Lognola, una delle tappe del Mangirò, una passeggiata culinaria organizzata la prima domenica di luglio nel territorio che circonda Monghidoro con appuntamenti gastronomici tenuti da  diversi chef che propongono ricette preparate con il pane.
Matteo è sempre stato molto attivo e coinvolto in iniziative ed è stato  anche per alcuni anni Presidente della Associazione Montagna Amica oltre ad esserne uno dei  soci fondatori.
Montagna Amica attualmente è anche  diventata il gestore della Strada dei Vini e dei Sapori insieme alla Regione Emilia Romagna e si prefigge lo scopo di  favorire lo sviluppo economico del territorio dell’Appennino con riferimento al turismo in particolate quelli enogastronomico e agroalimentare .
Tra i prodotti  del forno tutti eccellenti  e preparati per la maggior parte con grani antichi, mi soffermo ad esaminare la lista dei 12 pani che il Forno Calzolari sforna unicamente nel mese di riferimento .
L’Idea a mio parere davvero  intrigante è che il pane non venga considerato solo un insieme di farine mescolate insieme ma diventi un racconto di quel mese dove vengono impastati insieme, non solo ingredienti, ma sensazioni…. il mio preferito è quello di novembre dove si respira il bosco nella farina di castagne e nelle nocciole insieme a segale grani antichi e rosmarino.
Ma ve ne sono tanti altri … “Rubando ciliegie” è il pane del mese di giugno  dove insieme alle ciliegie troviamo anche le ortiche .. quelle che ci graffiavano le gambe in mezzo ai campi. Il pane di Marzo è intitolato “il Disgelo “ e vi troviamo i germogli della primavera imminente e il grano antico.
Sono fortunata oggi è mercoledì ed è giorno di dolci .. entro un attimo in laboratorio.. i ragazzi stanno preparando zuccherini, pinze con mostrada Bolognese, crostate, biscotti di grano antico e noci e come da tradizione per l’imminente festa del Papa le raviole di San Giuseppe –
La mia visita termina qui, ringrazio Matteo per la gentilezza con cui mi ha accolto .. sono state due ore di full immersion in storie di grano e di vita  che danno ancora più sapore e valore al pane che mi è stato regalato e che ora sto assaggiando.

P.S. Chi volesse conoscere Gino lo può incontrare  ogni anno  ad ottobre in un evento enogastronomico che si tiene a Monghidoro e che ogni anno richiama un discreto pubblico…….
In rete ho trovato questa ricetta del pane Montanaro che metto in condivisione…..qui Gino riappare in una delle preparazioni tipiche del luogo : il Pane Montanaro.
Museo della Civiltà Contadina dell’Appennino Bolognese 
Per poter raccontare meglio questa la  storia di questi luoghi come  anche di  tutte le tradizioni della zona ho deciso di visitare con alcuni amici il  Museo della Civiltà contadina dell’Appennino Bolognese e il  piccolo e interessantissimo Museo dell’Emigrante a Piamaggio ( Monghidoro )  che questa storia la racchiudono sapientemente.
Vengo accolta da Silvana, Pina e Vittoria volontarie Auser che si occupano della gestione del museo e che mi faranno da guide.
Il museo – mi spiega Vittoria Comellini , che ha anche curato l’allestimento del piccolo museo dell’Emigrante – esiste dal 1996 è stato voluto dai coniugi Mirella Martelli e Roberto Bevilacqua i quali insieme ad altri volontari tra i quali il sig. Carlo Mezzini che ha realizzato le opere strutturali e le ambientazioni , hanno raccolto gli oggetti esposti  che risalgono più o meno agli anni 50/60 .
Nel museo sono stati ricostruiti ambienti oltre agli ambienti della casa (cucina, stanza da letto etc)
anche la stalla , e tutti gli strumenti di lavoro utilizzati dai contadini per il lavoro nei campi; un banco di scuola e una lavagna, gli strumenti da lavoro del ciabattino (mestiere abbastanza diffuso tra i Monghidoresi) ed altri strumenti di vita agricola che mostrano la semplicità e l’essenzialità della vita a quei tempi .Vi sono anche ricordi legati alla seconda guerra mondiale e in questa occasione apprendo come molti  Monghidoresi abbiano perso la  vita combattendo valorosamente come partigiani.

Nel visitare la sezione arti e mestieri la mia attenzione viene catturata da alcuni manufatti di paglia come cappelli e borse
e da strisce sempre  di paglia di varie misure chiamate in dialetto la Trèzza” o il Trezin che venivano realizzate con la paglia del  grano coltivato nella zona ed  in particolare della varietà del Gentilrosso . La Trèzza veniva realizzata con 13 paglie e nella versione più piccola con 7 .
Donne e bambini erano coloro che perlopiù si dedicavano a questa attività in vari momenti della giornata intrecciando le paglie che poi venivano raccolte e portate a Monghidoro per essere sottoposte ad alcuni trattamenti  e successivamente spedite a Firenze per la realizzazione di cappelli e borse.
P Breveglieri maggio 1951 Castel dell’Alpi
Il grano in questo territorio era quindi una grande risorsa ma non solo per produrre pane (fonte importante di sostentamento nell’alimentazione contadina) ma anche per la paglia del grano che veniva sapientemente utilizzata .

I cibi tipici che all’epoca  non mancavano mai sulla tavola erano essenziali , polente di mais (con la quale venivano svezzati anche i bambini) e di castagne; anche  le patate ancora oggi coltivate e di ottima qualità erano un importante fonte di sostentamento.
Altri cibi che si trovavano frequentemente sulle tavole contadine eranoL’aieda :  una poltiglia di aglio e patate con cui venivano conditi gli stianconi, una pasta preparata con acqua farina e uovo tirata al mattarello e poi stracciata
Il cotto:  una sorta di vellutata di castagne condite con una foglia di alloro

Le miazole, delle crepes nostrane preparate con acqua e farina
La crescenta in tla preda preparata con l’impasto del pane e condida con pezzi di lardo cotta sulla pietra o tra due coperchi ricoperti di cenere caldaù
L’arenga ossia l’aringa che spesso era una sola e doveva bastare per tutta la famiglia.
Vengo in ultimo portata a visitare nel sottoscala  un mulino ad acqua ricostruito e perfettamente funzionante in scala 1:3 dove sono perfettamente visibili meccanismi che mettono in funzione la macina; vi è alla parete un quadro che spiega nel dettaglio il suo funzionamento; mi viene anche consigliata la visita del vicino Molino Mazzone ancora funzionante e munito della “botte” per la raccolta dell’acqua.
Piccolo Museo dell’Emigrante
La zona di Monghidoro e dintorni ha risentito anch’essa della crisi economica ed è diventata da zona di emigranti ( dal 1911 al 1981  gli abitanti si sono ridotti da 6000 a 2500) a paese di immigrati.
Ultimamente la zona si è ripopolata anche grazie ad  una forte immigrazione di stranieri e di italiani provenienti da varie regioni .
Nei tempi passati nella zona vi erano fenomeni di immigrazione stagionale sia nella vicina Toscana , nella bassa Bolognese per andare a lavorare nelle risaie ma anche all’esterno verso la Germania, la Francia e il Belgio per lavorare nelle miniere e nei campi.
Proprio tra uno di questi paesi, il Belgio , grazie ad un gruppo di emigrati stabilitisi a Rebecq nel 1924 e dell’emigrazione di ben 33 monghidoresi in quella zona a seguito del protocollo italo-belga per l’impiego di 50.000 italiani nelle miniere di carbone sempre nella stessa zona  si sono intrecciate  storie di amicizie ed affetti tra i due paesi tanto che nel 2015 si è sentita la necessità di  creare il piccolo Museo dell’Emigrante  insieme al  gemellaggio tra  Monghidoro e Rebecq (Belgio)

Il museo è stato voluto da Vittoria Comellini che ha raccolto quasi tutto il materiale  per grossa parte proveniente dagli emigrati in Belgio. Nel piccolissimo museo al piano superiore sono stati sapientemente preparate delle interessanti  schede di approfondimento sulle origini dell’emigrazione italiana e sulle vicende storiche nelle diverse epoche.
Vittoria ci ha accompagnato nella visita raccontandoci anedotti e ci ha riportato indietro nel tempo con i suoi racconti facendoci riflettere anche sulla ripetitività delle problematiche relative alla integrazione le medesime che si ripetono ancora ai giorni nostri.
Un’altra particolarita della zona  è stata da sempre la presenza di  parecchi Cori musicali tra i quali il Coro Scaricalasino e di molti musicisti  e cantanti (ricordiamo che Monghidoro ha dato i natali a Gianni Morandi), nel museo infatti è esposta anche una fisarmonica dell’epoca e dei dischi  …Vittoria a questo proposito mi dice scherzando  che forse ciò è dovuto  alla rigidità del clima, in particolare del vento e della nebbia che fanno parlare un po’ piu forte quasi a cantare che è nata questa  passione in queste zone.
Da queste ore passate insieme al museo ho ricevuto molto in termini di arricchimento culturale ed ho ricevuto in dono un libro molto interessante con la raccolta delle storie di emigrazione che ci ha appena narrato Vittoria. Il libro VOCI E VOLTI  è scritto da lei ed ricco di preziose informazioni storiche, illustrazioni e interviste
Non è mancata neppure una pausa dolce e abbiamo assaggiato al termine della nostra visita uno squisito un panone con frutta secca e pane raffermo.
Voglio concludere con una poesia di Gaetano Arcangeli tratta dal libro di Vittoria che descrive lo stato d’animo di coloro che devono lasciare la loro terra loro malgrado . Che possa fare riflettere tutti noi.
Appennino, ogni cuore qui è emigrante,
cerca altrove gli orgogli del progresso.
Ne parlano imperterriti ed accesi,
fra gli sballottamenti delle svolte,
in discorsi accaniti e senza termine;
puntigliosi a non volgersi più indietro
a salutare nulla, non lo meritano
le tue groppe umiliate, i tuoi borghi
già rassegnati a non aver domani
http://www.aifb.it/cibo-e-cultura/gran-tour-italia/emiliaromagna/la-via-del-pane-storia-tradizioni/

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